giovedì 25 settembre 2008

Diva Supreme...

Sono ormai giorni, nay, sere che prima di dormire/studiare, mi guardo un film "vecchio", di cui ahime non sono una cima. Nonostante di primo impatto mi desse fastidio, sto con il tempo diventando assuefatto al b/n e alle conseguenti nuances di grigio che sostituiscono le mancanti tonalità calde e fredde. Tra i vari apprezzamenti, mi sono ritrovato a commuovermi, seppur senza lacrime, alla visione di fasci di luce che, cercando di entrare all'interno di una persona dalla parte forse più poetica , illuminavano sono la parte degli occhi, abbandonando tutto il resto - di contorno, appunto - alla superficialità del buio. E il senso di appagamento e riempimento non derivava dalla situazione, bensì dall'espediente stesso, da quella tecnica così semplice ma di una comunicatività sbalorditiva.

E soprattutto, sono rimasto colpito dalle Dive vecchio stampo. Mi spiace per le attrici che ora calcano i palcoscenici e i vari settings cinematografici, ma le star americane dagli anni '20 a quelli '50 hanno qualcosa in più. Sarà forse il contesto, l'atteggiamento, il modo di vestire e la capigliatura; magari il loro essere protagoniste indiscusse e fulcro di ogni situazione nonostante la loro pacata e sottomessa natura. Perchè allora, salvo alcuni casi particolari, la coppia impartiva all'uomo e alla donna quei ruoli che per "nascita" - o alcuni direbbero clichè - venivano e vengono tuttora loro normalmente assegnati. Ma tutto ciò non impediva al genere femminile di ammaliare, anzi.

Mi sono innamorato anche. Si chiama MARie magdaLENE DIETRICH. Super partes. Superba. Androgina. Bisessuale. Diva. Icona. La vera Bionda. Teutonica. Devozione.


“She remains what she has been for many years - an absolutely strange delight, whose gift lies outside her achievement as an actress, is not tied to a specific time and does not depend on the taste of the moment, not even on common sense.”
(Beaton, Cecil)

“Marlene - with the unambiguous allure of the woman of yesterday and the ambiguous charm of the woman of today who has man not only about her but also within her.”
(Schygulla, Hanna)

mercoledì 24 settembre 2008

University or not University...

E' effettivamente dall'inizio di Settembre che mi tormento con il dubbio del titolo. Ogni anno, sempre con maggiore intensità, con il sopraggiungersi del bollettino con il versamento della prima retta universitaria, entro in crisi. Mi riempio la mente di domande e questioni - come per ogni argomento, d'altronde - per comprendere quale sarebbe la decisione migliore da prendere in merito, ma ogni volta sembra che le liste dei PRO e dei CONTRO siano esattamente equipollenti, con nessun sbilanciamento verso il "continuo" o l' "abbandono". Il problema è che, come mi ha giustamente suggerito la mia responsabile al lavoro, se l'università viene intesa come luogo ove acquisire più conoscenza possibile, be', frequentarla risulta davvero inutile: i soldi spesi ogni anno per rette e mezzi si possono benissimo utilizzare per l'acquisto di libri, saggi e quant'altro. Se invece l'obiettivo è quello di conseguire un pezzo di carta necessario per l'impiego sognato, allora risulta, non solo utile, strettamente indispensabile! Ed è questo che mi blocca... Sto lavorando come un mulo per pagarmi l'università, ma il lavoro è tale da impedirmi di frequentare nè tantomeno di dare uno straccio di esame per quella stessa università che sto pagando con il lavoro che... blah blah blah. Solito circolo vizioso del cazzo. C'è chi dice di continuare, che non mi "corre dietro nessuno", altri lasciano giustamente a me il verdetto. Ma io non so cosa fare, proprio no.

lunedì 22 settembre 2008

Big Black Hole

Ero partito con l'intento di scrivere un post con una sorta di spessore, che trattasse di un argomento universale sulla solita lotta "Predestinazione VS Chaos"... ma mi è passata la voglia, e la mia attenzione si è rivolta verso un altro punto.
Non è questione di melodramma, non sono certo questi i punti su cui la mia parte "Drama queen" balza fuori e inizia a recitare i soliti monologhi carichi di vittimismo ed egocentrismo. Quei vari libelli credo siano in fase di estinzione, su una surreale pira alla "Farenheit 451" (mostrare quel film a un ragazzino della prima media è assolutamente pointless). Momenti di cambiamento qua e la, già... rinnovamento della staccionata diciamo.
Ma delirio a parte... arrivo al torsolo della mela. Dopo aver letto un post di DG (non voglio commenti da parte di Fashion Victims), mi sono effettivamente sentito vuoto. Vuoto di concetti, ovviamente, di materia su cui lavorare e da esternare nei rapporti interpersonali. Mi faceva specie - in una certa maniera - notare tutti i richiami e citazioni di "ovvie" influenze, reprise e quant'altro. Cose che io, con i mezzi nozionistici di adesso, non sarei in grado di fare in nessun ambito. Se non per sentito dire, o grazie a letture casuali in un momento di noia al lavoro. E mi vergogno un po'. Ammetto di sentirmi imbarazzato per la mole di pigrizia congenita che nella maggior parte dei casi mi ferma, mi blocca sulla superficie delle cose e inibisce una qualsiasi voglia di esplorare le cose fino in fondo. Sempre e comunque, eh? Non finire un libro, non ascoltare una canzone fino in fondo. Mancanza di stimoli forse, ma diamine! Un po' di impegno nella vita ci vuole, e io devo averlo perso. Forse il bambino nella culla accanto alla mia ora è un superattivo con una mole di interessi in atto (perchè in potenza ne ho una marea anche io, forse troppi), chi lo sa...

... Devo riempirmi da esser ebbro; devo rompere gli argini e straboccare di conoscienza. Tutta.