sabato 5 aprile 2008

XXX

E ci saresti tu. In piedi davanti a me, immobile. Con la testa leggermente piegata verso il basso, a guardarmi. Ma non ti muoveresti, quasi fossi impagliato. Mi osserveresti mentre le mie mani tremanti si avvicinerebbero ai bottoni. Persino quei gingilli così tanto insignificanti son'ormai oggetti d'idolatria. E nn alzerei gli occhi. Li terrei con invana fermezza sulle mani, come quando un genitore fissa con cautela e apprensione il proprio figlio che gioca in situazioni pericolose. E le mani a malapena riuscirebbero a distogliere quei piccoli cerchi cuciti dalle rispettive asole. Il secondo, forse un po' debole di filo, cadrebbe per terra. Quanto imbarazzo. Sentirei battere il cuore persino nei palmi, mentre, senza stabilità, accarezzerebbero dal tessuto il petto al di sotto nella lunga e interminabile discesa verso l'ultimo bottone. Già a metà strada sentirei l'odore della pelle, anche non dovesse emettere una particolar fragranza. In mancanza di qualche senso, gli altri si affinano così tanto da percepire quel che in realtà non c'è. E si sa, l'amore è cieco. E le mie narici si infiammerebbero, come prese e colte da una qualche droga alla quale non si è mai abituati ma di cui si sente parlare. E l'unico modo per reggermi in piedi e non esser colto da mancamenti, sarebbe quello di interrompere quella delicata e destabilizzante operazione e aggrapparmi ai bordi della camicia. Quelli che minuto dopo minuto, così lentamente da star male, si discosterebbero. Ma non riuscirei ad andar più veloce. E se fosse quella l'ultima volta? E sentirti fermo e immobile mentre i lembi sarebbero completamente distanti da metterti follemente alla luce de' miei occhi. Dio, potrei morire soffocato in quel momento. Soffocato dalle lacrime che mi ingozzerebbero. Mentre sarei lì a boccheggiare per un po' di aria. Che qualcuno mi aiuti, cazzo! E con un dito, forse, mi strusceresti il viso per togliermi qualsiasi traccia salina inopportuna. Mentre tutto il resto di te rimarrebbe statuario. E colpito, come quel gesto avesse contrapposto all'acqua e sale, acqua a zucchero, riprenderei quel minimo di energie necessarie a riportar le mie mani - che mai cessarebber di muoversi - verso l'alto. Per strisciar la camicia sulle tue spalle e lasciar agir la forza di gravità. Da solo, no, non riuscirei a toglierterla tutta. La santità di quel gesto mi impedirebbe di aver la sfacciatiggine adatta. E lo sfregarsi di quel bianco sulla pelle sarebbe così fastidioso da farmi impazzire, tapparmi le orecchie seduta stante. Con un dito tracciare ogni singola linea dei muscoli che si stanno mettendo in evidenza. Un autocelebrazione che non voglio dimenticare. E come quando si scrive per fissar nella mente, l'indice traccerebbe un alfabeto di sensualità su quel petto per non perderlo. E cercherebbe di assorbire qualsiasi imperfezione, senso, solco, pelo. Qualsiasi traccia ed elemento da scolpire per sempre nella memoria. Dal petto. La linea che divide quei piatti seni maschili e virili. Chi è David? E necessariamente, come attratto da un vortice, quella riga mi inviterebbe a scendere. Verso il basso e verso quell'esercizio fisico. Quello che richiama dai morti tutta l'eccellenza degli scalpelli. Sono morto, sì, ditemelo. E me lo sentirei suggerire da dentro, mentre soggiungo con il polpastrello alle vecchie tracce materne. Ma poi... occhi chiusi, ti riporrei la camicia addosso. No, No. Sol'ora a pensarci. Che continui ad esser tale. Non ce la farei...

1 commento:

Anonimo ha detto...

che si commenta a questo, uh?
a parte una sacrosanta empatia.

*A ME, non MI hai mai guardato così :P*